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Ode a ciò che è ordinario

Ode a ciò che è ordinario

Il mio punto di forza? Non ho paura di essere mediocre.

Ballo anche se non sono brava.
Canto anche se sono stonata.
Dipingo anche se non sono Picasso.
Scrivo anche se non sono Stephen King.

Abbraccio la mia mediocrità tutti i giorni, e un interessante effetto collaterale è che agli altri sembro molto più brava di quello che sono. Perché il talento non esiste, esistono solo le ore che dedichiamo alle attività che amiamo. E, ora su ora, passiamo dall’essere inetti, a mediocri, a bravini. Il talento è solo un mucchio di ore di dedizione, pazienza e interesse per una specifica attività. La bravura è la ripetizione infinita degli stessi gesti.

La verità è che la maggior parte di noi non sarà un genio in… bè, niente. E va bene così.

Nella cultura odierna ci si sente di dover provare di essere speciali, diversi, unici. Quando essere “ordinari” o “normali” è diventato sinonimo di fallimento?

Ode a ciò che è ordinario

Ho lasciato questo articolo indietro per tanto tempo. E uno dei primi che ho scritto, quando ho aperto questo blog. Ma non l’ho mai pubblicato.

E poi ho visto che Mark Manson ha pubblicato un argomento simile, e Mark Manson per me è tipo “IL blogger”, quindi ho pensato “Ma scusa, lui sì, e il mio articolo no?” E quindi eccolo qui. Un’ode a ciò che è ordinario.

“Am I Special?”

Per gran parte della vita ho sentito la pressione di dover fare cose straordinarie. Andavo bene a scuola, avevo qualche potenzialità, mi aspettavo moltissimo da me stessa. Sentivo di dover frequentare l’università all’estero, trasferirmi in una grande città, lavorare in un’azienda prestigiosa, fare viaggi spettacolari.

Sentivo che senza aver fatto qualcosa di “speciale” avrei fallito nella mia vita. Quindi mi sono obbligata molte volte a fare qualcosa che non sentivo mio, pur di soddisfare questo “bisogno di straordinarietà”.

Ma alla fine bisogna ascoltare quel senso di pesantezza nella pancia che ti dice “No. Non fa per te. Non ti fa bene”. Io l’ho sentito per l’Erasmus, per esempio. Non avevo nessuna voglia di partire. Qualcosa mi diceva che dovevo farlo, che senza quell’esperienza sarei stata inferiore, mancante… Ma alla fine non ho mai cliccato sul pulsante “Invia domanda”.

Ho fatto bene? Ho fatto male? Non lo saprò mai. Le mie motivazioni, adesso lo so, erano sbagliate: fare un’esperienza per apparire. Ma magari avrei ricevuto in cambio un periodo fantastico di vita? Può essere; probabile. Ma in quel momento della mia vita, non faceva per me. Bisogna ascoltare la pancia, quando si fa sentire.

E perché poi fare i miei 5 anni di università in un unico posto mi sembrava così… banale? Chi, cosa mi ha istigato questo desiderio di essere speciale e straordinaria, anche se non ne avevo nessuna voglia?

Non lo so. Forse pressione sociale. Online tutti stanno vivendo la loro vita migliore: viaggi pazzeschi, serate e aperitivi, amici fighissimi, esperienze fantastiche.

E ciò che è ordinario è… noioso. A nessuno importa se sei ordinario, giusto? Ma la domanda vera è… perché alla gente dovrebbe importare a prescindere?

Alla gente non importa niente di te.

Questo può essere deprimente, ma può essere anche liberatorio: “alla gente non importa di me e della mia vita, io posso fare quello che voglio. Posso scegliere per me e basta. Posso decidere solo seguendo i miei istinti e i miei desideri, senza pressioni dall’esterno.”

Quanto è incredibile trovare la felicità nella vita di tutti i giorni? Essere felici di svegliarsi la mattina e di seguire la solita routine, vedere i soliti amici, andare nei soliti posti. Quanto è meravigliosamente straordinario essere felici di condurre una vita ordinaria? Io l’ho capito tardi. Avevo sempre quel pizzico di insoddisfazione di non essere “speciale”. Alcuni miei amici studiavano in USA, andavano in Erasmus… Ma io ero felice di essere a casa, con le mie persone. Stavo permettendo ad una convinzione immaginaria di rendere insoddisfacente la mia vita reale: quindi le ho detto addio.

Addio, straordinarietà. Addio anno Au Pair, addio avventure nel mondo, addio anno di studio all’estero. Benvenuta, quieta felicità quotidiana. Felicità fatta di silenzi, di bigliettini lasciati in cucina, di piante che crescono al sole.

Ciò che è ordinario può essere bellissimo. Dobbiamo solo permetterglielo.

Vi lascio con un breve componimento che adoro e ha ispirato questo intero articolo:

Do not ask your children to strive – William Martin

“Non chiedere ai tuoi figli
di lottare per avere una vita straordinaria.
Perché tale sforzo può sembrare ammirevole,
ma è la via della stoltezza.
Aiutali invece a trovare lo stupore
e la meraviglia di una vita ordinaria.
Mostra loro la gioia dell’assaggiare
pomodori, mele e pere.
Mostra loro come piangere
quando animali e persone muoiono.
Mostra loro l’infinito piacere
del tocco di una mano.
E fà in modo che l’ordinario si animi per loro.
Lo straordinario verrà da sé”

(William Martin)

“Do not ask your children
to strive for extraordinary lives.
Such striving may seem admirable,
but it is the way of foolishness.
Help them instead to find the wonder
and the marvel of an ordinary life.
Show them the joy of tasting
tomatoes, apples and pears.
Show them how to cry
when pets and people die.
Show them the infinite pleasure
in the touch of a hand.
And make the ordinary come alive for them.
The extraordinary will take care of itself.”

(William Martin)

Voglio essere meravigliosamente ordinaria.
Voglio cercare sempre la gioia nelle piccole cose… perché spesso è lì che si trova.

Ti lascio qui il bellissimo articolo di Mark Manson sull’essere “nella media”: https://markmanson.net/being-average

Ciao! Sono Michela Scrivo articoli su SostenibilitàModa EticaCrescita Personale e Alimentazione Plant-based.

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Michela

Ciao! Sono Michela e questo è il mio blog. Grazie di aver letto fino a qui!

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